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Esercizi per scoprire se soffri di bassa autostima e come combatterla

Una buona autostima non coincide necessariamente con l’amarsi alla follia ma semplicemente con l’accettazione di sé e la non svalutazione. Questo è quanto basta per avere una visione realistica di sé e dei propri limiti e muoversi nella propria vita in base a parametri realistici piuttosto che a parametri impostati “per difetto” che poi ci portano a vivere “a ribasso” delle nostre possibilità.

Noi ci relazioniamo con il mondo spesso in base ai pensieri che facciamo su di esso piuttosto che sulle sue caratteristiche oggettive. Pertanto è molto importante impostare il più realisticamente possibile la “macchina che produce i pensieri” e di conseguenza, la nostra vita. Questa “macchina”, che è la nostra mente, lavora in base ad algoritmi costituiti dalle “nostre convinzioni di base” che si strutturano attraverso la cultura, le esperienze e le inclinazioni personali e si mantengono attraverso i cosiddetti “meccanismi di mantenimento”.

I meccanismi di mantenimento della bassa autostima:

  • Il primo meccanismo di mantenimento: l’attenzione selettiva

Il primo meccanismo di mantenimento è costituito dall’attenzione selettiva. Cosa pensi quando cerchi qualcosa? Probabilmente ripeterai nella tua mente quella stessa cosa che stai cercando per focalizzare l’attenzione sui frammenti di realtà che hanno maggiori probabilità di portarti all’obiettivo. Cosa accadrà quindi, se ti ripeti di essere impotente, incompetente, inadeguato, fragile ecc? La tua attenzione selezionerà i frammenti di esperienza che convalideranno la tua convinzione. Partendo da tali convinzioni la persona sarà portata a strutturare il secondo meccanismo di mantenimento: “le regole di vita disfunzionali” che mirano a compensare la bassa autostima.

  • Il secondo meccanismo di mantenimento: le regole di vita disfunzionali

Si eseguono tali prescrizioni con la convinzione che possano preservare la nostra autostima allontanandoci dalle situazioni che pensiamo la metterebbero a repentaglio. Ma come ci sentiremmo se non parlassimo con nessuno con la convinzione che se lo facessimo saremmo esclusi? Probabilmente ci sentiremmo esclusi a priori poiché strutturiamo la nostra vita in base alla paura di confermare questa nostra convinzione. Sono regole che ci proteggono dalla paura di vedere confermate certe convinzioni che noi stessi stiamo già confermando nel momento in cui tentiamo di proteggerci da esse. Alcuni esempi di regole di vita disfunzionali possono essere: devo sempre ottenere il massimo per essere considerato, devo stare solo per non essere criticato, devo sempre piacere a tutti per non rimanere solo, non devo esprimere opinioni per non essere escluso ecc.. Le regole di vita disfunzionali “funzionano” per far stare meglio la persona con bassa autostima solo fino a quando, inesorabilmente, vengono messe a repentaglio o vengono infrante. Dico inesorabilmente perché essendo regole estremamente rigide non hanno possibilità di essere sempre (e nemmeno spesso) rispettate. Quando la persona percepisce l’avvicinarsi di una situazione che potrebbe minacciare la propria regola di vita e, confermare quindi la propria convinzione di base, tende a provare forte ansia e a mettere in atto il terzo meccanismo di mantenimento: l’evitamento della situazione.

  • Il terzo meccanismo di mantenimento: l’evitamento

Tale comportamento, sebbene a breve termine riduca drasticamente l’ansia, a lungo termine mantiene le convinzioni sulla bassa autostima perché non permette di mettere in discussione le proprie credenze disfunzionali e di conseguenza di modificare l’immagine negativa di sé. Per di più, assolvendo inizialmente alla funzione di diminuire l’ansia e stare meglio, l’evitamento sarà un comportamento che verrà riproposto con tutte le sue conseguenze. L’evitamento, con l’inevitabile messa in crisi delle regole di vita, tenderà ad aumentare e estenderà così nei confronti delle situazioni sociali, lavorative e nei confronti di sé, dei propri bisogni, valori e aspirazioni profonde. Ed è così che piano piano, con la convinzione di proteggersi, la persona con bassa autostima si allontana da una vita soddisfacente e spende il proprio tempo a schivare le paure e a cercare di salvarsi dal giudizio altrui piuttosto che a inseguire le proprie inclinazioni e aspirazioni.

Trattare la bassa autostima

Molte persone non sono consapevoli di avere un problema di bassa autostima poiché essendosi quest’ultima strutturata sulle “convinzioni di base, portano la persona a non rilevare l’opinione negativa di sé come errore di valutazione, ma come dato di fatto. Inoltre la bassa autostima si camuffa spesso tra le regole di vita che, nel tentativo di compensarla, si strutturano e automatizzano vincolando la routine quotidiana senza che la persona ne sia consapevole.

Alcuni sintomi che possono destare sospetti riguardo la bassa autostima possono essere: indecisione e insoddisfazione eccessive, stress, difficoltà a dire no, ostentare eccessiva sicurezza, eccessivo timore di essere abbandonati, timore eccessivo del giudizio altrui, perfezionismo, disturbi psicosomatici.

Se pensi di avere problemi di autostima utilizza questi esercizi per testare la loro presenza e pervasività nella tua vita:

  1. Presta attenzione a tutte le volte che ti critichi e chiediti a cosa ti serve rivolgerti l’autocritica
  2. Chiediti se e come l’autocritica è efficace nel modificare le cose
  3. Chiediti se utilizzeresti lo stesso metodo con una persona a cui vuoi bene
  4. Prova a stilare una lista dei vantaggi e degli svantaggi dell’avere bassa autostima concentrando la tua attenzione su cosa avresti paura di perdere se aumentassi la tua autostima.
  5. Scrivi una descrizione di te stesso in prima persona e successivamente una descrizione di te stesso in terza persona come se fosse un amico/un’amica che ti vuole bene a farlo e valuta le differenze rispetto a ciò che tu scrivi di te stesso
  6. Prova ad ipotizzare i motivi che ti portano a descriverti in modo differente rispetto al tuo amico
  7. Identifica i tuoi comportamenti di evitamento e focalizza l’attenzione su ciò che cerchi di evitare
  8. Stila una lista delle situazioni che eviti partendo da quella che ti desta più ansia fino a quella che ti preoccupa di meno
  9. Prova ad astenerti dai comportamenti di evitamento, osserva bene cosa si attiva in te e affronta le situazioni a partire da quella che desta in te meno ansia
  10. Valuta l’esito dell’astensione e dell’esposizione alla situazione temuta

Se vuoi un supporto ti sarà utile sapere che la terapia cognitivo comportamentale della bassa autostima ideata da Melanie Fennell dell’Università di Oxford è il trattamento con maggiori evidenze di efficacia per questa problematica.

Come riconoscere la Violenza Psicologica?

L’invisibile pesantezza della violenza psicologica. Ma come capire se si è vittime di violenza? 

La violenza psicologica è la più complicata da individuare, questo perché è una forma di maltrattamento subdola. Segue, infatti, un percorso lento e silenzioso di cui spesso la vittima non né è consapevole.

Come riconoscere se un partner fa violenza psicologica? Ecco le domande da porsi:

Ti svaluta in continuazione. Ironia o umiliazione?

“Mi diceva che non valevo niente e che non sapevo fare niente

“Rimarrai sola, non sei buona neanche come madre”

“A letto non vali niente, sei un’impedita”

“Ricordo una cena con amici in cui mi derideva davanti a tutti

Il partner opera una svalutazione continua, da semplici critiche sulla persona a umiliazioni continue, gratuite ed infondate. In questo modo si cerca di minare la vostra autostima facendovi sentire inadeguate e mai all’altezza.

Controlla le tue amicizie e i tuoi affetti?

“Non potevo neanche parlare con le mie sorelle”

“Criticava sempre la mia famiglia”

“Parlavo a telefono con le mie amiche quando lui usciva, altrimenti si innervosiva”

“Mi sentivo sempre in ansia”

Spesso infatti l’uomo tenta e riesce ad isolare la partner dal contesto socio-familiare. In questo modo è più facile avere il pieno controllo della vittima.

Ha delle gelosie ingiustificate?

“E non andava mai bene come mi vestivo, troppo corto, troppo aderente, troppo scollato” “All’inizio credevo fosse normale, poi diventava sempre più assillante”

“Ricordo che sospettava che lo tradivo con tutti, anche con i suoi amici”

Spesso l’uomo che abusa psicologicamente della sua vittima ha delle gelosie anormali, non giustificate dalla realtà oggettiva. Questa gelosia può trasformarsi in ossessione e in reazioni esagerate.

Ha delle reazioni improvvise?

“Cercavo sempre di essere attenta nelle cose che facevo, cercavo di accontentarlo”

“Gli rispondevo sempre per non farlo innervosire e per avere la sua approvazione”

 “Cercavo sempre di placare le sue reazioni”

In questo modo offri al partner la gestione del tuo umore e della tua autostima.

Si pente e recita la parte del buono?

A volte il manipolatore può giocare a fare la vittima: scarica tutte le colpe su di te per farti sentire in colpa e riprendere il pieno controllo della situazione.

Cerca di avere il dominio su di te?

“Alla fine decidevo di fare quello che sceglieva lui solo per stare più tranquilla”

A volte c’è una parvenza di parità ma osserva bene, perché a volte la violenza psicologica è presente nelle relazioni asimmetriche. Mentre tu cerchi di accontentarlo lui alza il tiro.

Ti controlla ossessivamente?

“Ricordo che controllava anche il mio cellulare

“Controllava i miei profili social”

“Controllava anche quello che spendevo”.

Se ti sei riconosciuta in questi segnali inizia a riflettere. Ricorda che per uscire dalla spirale della violenza psicologica serve la consapevolezza di essere abusate psicologicamente. Non è sempre facile avere la piena consapevolezza della rete in cui si è finite. Non esistono ricette miracolose se non allontanarsi dall’abusante ma spesso questo non è facile o perlomeno può sembrare difficile.

Per questo motivo un gradino alla volta, iniziate per gradi e con il chiedere aiuto, iniziate a parlarne. Solo in questo modo riuscirete a scalare la vetta.

Balbuzie e Resilienza: 5 modi per resistere alle cadute

Perché è così importante la resilienza per una persona che balbetta. Proviamo a vedere come imparare a sviluppare questa preziosa risorsa psicologica. 

Dal momento che balbettare, bloccarsi o semplicemente tentennare è percepito da chi balbetta esattamente come una caduta, saper reagire alle insidie della balbuzie diventa una risorsa psicologica importante da coltivare e sviluppare. Questo accade, in particolar modo, quando la balbuzie si presenta proprio nei momenti più inopportuni, come quando c’è un piccolo pubblico ad ascoltare o al cospetto di una persona percepita come importante (il capo al lavoro, l’insegnante, un ragazzo o una ragazza per cui proviamo particolare interesse). Risolvere la balbuzie non è solo una questione di ripetizioni o di blocchi, ma è fondamentale riuscire a lavorare su se stessi per non rimanere travolti dall’effetto della caduta. Nel trattamento della balbuzie aumentare la resilienza diventa infatti un potente fattore protettivo.

Prendiamo l’esempio di una persona che sta seguendo un trattamento per smettere di balbettare. Sta seguendo un buon percorso e sta facendo grandi progressi. Una sera si trova con i suoi amici e sta finalmente parlando bene come non mai, è felice e si sente al settimo cielo. Poi, ad un tratto, a fine serata, al momento di salutare quella B esce male e dice “B-B-Buonanotte”. Ecco che entra in gioco la resilienza! Una persona poco resiliente la prende come una sconfitta, chi invece è resiliente lo considera solo un errore di percorso che può essere recuperato con un impegno maggiore.

Più velocemente riesci a riprenderti da una perdita, da una sconfitta, da una caduta e più sei resiliente.

Parlare dunque di resilienza è un viaggio che ha a che fare con le nostre più importanti risorse psicologiche.

Ecco perché in questo articolo ho raccolto informazioni da vari esperti e dalla mia esperienza personale e professionale condensando in 5 passi il viaggio verso lo sviluppo della tua resilienza.

  1. DIVENTA GENTILE CON TE STESSO

Essere severi con se stessi diminuisce la tua capacità di rialzarti, quindi la tua resilienza. Marco, ad esempio, dopo aver balbettato durante un esame universitario reagiva molto male ai suoi blocchi, usava parole dure contro se stesso, diceva: “E’ stato orribile, sembravo uno stupido!”. Sopratutto quando cadi hai bisogno di essere gentile. Non sto dicendo che devi perdonarti ogni errore e quindi concederti di rimanere nel punto dove sei, ma piuttosto trattarsi come farebbe un amico vero, un amico sincero che non nega i tuoi errori ma che ti esorta a risalire sulla barca, resilienza deriva proprio dal latino RESALIO cioè risalire.

Prova a farci caso. Come ti tratti ogni volta che ti capita di sbagliare?

Senti di avere dentro il tuo migliore amico o un giudice ingiusto?

I giudizi negativi che dai a te stesso ogni volta che cadi sono una zavorra che rende tutto più difficile.

  1. IMPARA IL CAMBIO DI PROSPETTIVA

Saper leggere gli errori in modo diverso aumenta la resilienza. Il cambio di prospettiva in psicologia si dice ristrutturazione cognitiva. Ristrutturare significa trovare gli elementi positivi in un evento, modificare il nostro modo di guardarlo. Un esempio è quando, alle prese con una sfida, sentendo lo stress che ci arriva, riusciamo a leggerlo come attivazione e non più come l’anticamera del blocco.

In che modo? Ci sono ricerche scientifiche che provano che se le persone si allenano a interpretare i cambiamenti fisiologici dovuti all’emozione come una preparazione del corpo a fare bene, lo stress diventa positivo anche al livello biologico. D’altronde non è vero che esiste solo uno stress negativo, lo sanno bene gli sportivi che esiste anche uno stress positivo chiamato eustress.

Quindi prova a rivalutare dentro di te le sensazioni che percepisci, ogni volta che ti senti in ansia, prova a pensare che è il tuo corpo che si sta preparando ad agire e non che è il segno che stai per balbettare. A tal proposito Kelly McGonigal, una psicologa americana, dice:

Se scegliete di vedere la reazione allo stress come utile, create la biologia del coraggio!”.

  1. STOP ALLE SCUSE!

Probabilmente ti sarà capitato di avere un pensiero del tipo: “Essere balbuziente è il mio destino, non c’è nulla che io possa fare! Sono semplicemente sfortunato!”.

In realtà chi rede di essere balbuziente per destino, automaticamente si risparmia la fatica di scommettere su se stesso, perché tanto nulla dipende dal proprio operare. Se ci si esonera dalla possibilità di agire per cambiare, ci si abitua a vivere come spettatore la propria vita. Seduti in panchina, non si può fare goal. Pertanto, se si vuole risolvere il problema “balbuzie”, imparare a confutare questo pensiero disfunzionale risulta indispensabile. Un pensiero alternativo a quello sopra può essere questo:

“Gran parte di quello che mi accade dipende da me e da come e quanto mi alleno. Se ho la balbuzie è perché mi sono inconsapevolmente allenato per tanto tempo a mantenerla, alimentandola con comportamenti, pensieri ed emozioni poco funzionali. Io e soltanto io posso riprendermi il potere che le ho dato”.

Assumiti quindi la responsabilità di affrontare le situazioni, di esporti a nuove opportunità e quindi a nuovi rischi e pericoli. Assumiti la responsabilità della tua comunicazione e sii disposto a sopportare brevi periodi di disagio: è la chiave per il cambiamento. Se si è disposti ad assumere rischi, è possibile realizzare una trasformazione significativa. Basta scuse!

  1. SVILUPPA IL TUO SENSO DI AUTOEFFICACIA

Cadere così spesso dove gli altri vanno spediti è un’esperienza che lascia traccia, lascia l’idea di non essere bravi a parlare, di non essere efficaci nella comunicazione. Non è una questione di autostima, salvo qualche caso, in generale una persona che balbetta sa benissimo quanto vale e non si giudica male sempre, lo fa solo nel momento in cui deve giudicare la sua efficacia nella parlata. E’ quello che Albert Bandura, uno degli psicologi più autorevoli del mondo, ha chiamato senso di autoefficacia. Bandura dice:

«una persona può giudicarsi irrimediabilmente inefficace in una data attività senza per questo patire una qualsiasi perdita di autostima».

Il credere di non riuscire a parlare fluentemente in una data situazione porta oltre che ad un peggioramento della performance anche ad una tendenza ad evitare situazioni.

Per aumentare l’autoefficacia nei compiti verbali puoi iniziare ad affrontare per gradi le situazioni comunicative, anche prendendo nota su un diario personale. Questo ti permetterà di vivere le difficoltà come sfide da superare e non come pericoli da evitare. Un ulteriore consiglio al riguardo può essere quello di crearsi intorno un ambiente favorevole con persone che favoriscano l’autoefficacia e spesso, per poter far questo, il primo passo è raccontarsi a qualche amico fidato o ad un genitore che possa fare da complice nell’intento di migliorarsi.

  1. LA TRAPPOLA DELLE ASPETTATIVE

Può capitare che ci si senta frustrati, succede quando la persona avverte la balbuzie come un ostacolo insormontabile e a quel punto pensare di rialzarsi sembra una cosa impossibile. Questo senso di frustrazione è un veleno per la propria resilienza e comprendere come fare a disintossicarsi può essere di grande aiuto.

Da dove ripartire? Pietro Trabucchi, psicologo autore del libro “Resisto dunque sono”, scrive: “la frustrazione è riconducibile alla delusione delle aspettative”. Se parliamo di un adulto la sua tendenza a porsi aspettative troppo alte deriva dai genitori, se invece parliamo di bambini è il genitore che deve riflettere sui messaggi che manda, perché le aspettative alte producono messaggi del tipo:

“Non devo assolutamente balbettare e non fare una brutta figura se no sono un fallito!” 

“Stasera siamo a cena con i miei amici, stai attento alla parlata, non devi balbettare” 

“Non devi balbettare perché ormai hai fatto il corso e sai come parlare”. 

L’utilizzo del termine “devo”, non prevedendo possibilità di errorefinisce per rendere la persona schiava dell’unico modo di pensare in termine di dovere. Pertanto, sarebbe bene allenarsi ad un pensiero più libero, quale:

“Preferirei essere bravo e non fare una brutta figura. Tuttavia, non escludo il fatto che possa succedere di non essere in grado di esprimermi al meglio. Ciò non vorrà dire che sono un fallito, ma una persona in cammino, con le sue conquiste e le sconfitte che servono per imparare e migliorarsi”.

La resilienza è un fattore psicologico che si può sviluppare e si può anche allenare. Fino a qualche anno fa eravamo convinti che la reazione agli errori fosse solo una questione di genetica, dicevamo infatti: “che posso farci, sono fatto così”. Oggi sappiamo che in realtà questa cosa dipende solo in piccolissima parte dalla genetica, dipende piuttosto dalle esperienze che hanno modificato il tuo atteggiamento mentale.

Disturbi Alimentari e Relazioni Sentimentali

Come Gestire La Situazione Se Il Tuo Partner Soffre Di Un Disturbo Alimentare

I disturbi alimentari spesso sono malattie silenziose, nascoste nell’ombra e negli angolini della vita. Sfortunatamente, per quanto si cerchi di tenerli segreti e isolati, questi finiscono inevitabilmente per influenzare quasi ogni aspetto della vita della persona.

Se il tuo partner soffre di un disturbo alimentare, probabilmente ne sei già al corrente. Per quanto il tuo partner cerchi di nasconderlo o ti dica che non è un gran problema, percepisci la tensione che questo comporta nel vostro rapporto. Il disturbo alimentare sarà anche del tuo partner, ma influenza anche te.

Come i Disturbi Alimentari Influenzano le Relazioni

Le relazioni romantiche necessitano di onestà, vulnerabilità e intimità da parte di entrambi i partner per essere sane e positive, e la natura stessa dei disturbi alimentari compromette questi elementi cruciali della relazione. Psychology Today, Carrie Gottlieb, PhD, parla degli effetti che i disturbi alimentari hanno spesso sulle relazioni. Le persone affette da un disturbo alimentare si preoccupano fortemente del cibo, del peso e della silhouette, e ciò rende difficile, a volte, pensare a qualsiasi altra cosa. Di fatto, i disturbi alimentari possono diventare così assillanti da prendere virtualmente il posto di altre relazioni interpersonali.

Man mano che i sintomi si aggravano, aumenta la distanza in quella che dovrebbe essere una relazione profonda e intima. La vergogna e la segretezza prendono il posto della vulnerabilità e dell’onestà mentre il disturbo alimentare stringe la presa sulla sua vittima. Non sorprende, quindi, che i/le partner delle persone affette da disturbi alimentari spesso riferiscano di provare una diminuzione dell’intimità emotiva nelle loro relazioni.

Cosa Dovresti Sapere Sul Tuo/La Tua Partner e Sul Suo Disturbo Alimentare

Se hai una relazione sentimentale con qualcuno che soffre di un disturbo alimentare, ci sono alcune cose che dovresti sapere sul tuo partner. La seguente lista, elaborata sulla base di articoli di Thought Catalog e Recovery Warriors scritti da chi ha lottato contro i disturbi alimentari, ti aiuterà a cominciare a capire meglio il tuo partner.

I disturbi alimentari di solito non riguardano il cercare di essere belli per qualcun altro. Il controllo è spesso il fattore trainante – si vuole avere il controllo della propria vita e quando le cose sfuggono al controllo e si inizia a sentirsi ansiosi, ci si rivolge al proprio disturbo alimentare per riconquistare quella sensazione di controllo.

Il tuo partner molto probabilmente ti sta nascondendo molti aspetti del suo disturbo alimentare. Si nasconde perché teme la tua reazione nei confronti dei suoi comportamenti. Forse teme che tu lo rifiuti, che tu sia disgustato o che tu provi pietà. Magari può temere la tua compassione e comprensione, dato che è così poco compassionevole con se stesso. Potrebbe rifiutare gli inviti ad eventi sociali o a pasti condivisi per nascondere il suo comportamento agli altri.

Una delle ragioni per cui ti nasconde le cose è la vergogna che prova per il suo disturbo alimentare. La vergogna per eventi passati può anche essere un fattore motivante nelle sue abitudini alimentari, e sebbene possa provare un fugace senso di controllo durante un determinato comportamento, è probabile che la vergogna ritorni rapidamente nel periodo successivo.

Autostima. La vergogna indebolisce l’autostima e il tuo partner probabilmente ha un’autostima particolarmente bassa. Anche se la bassa autostima è spesso un precursore dei disturbi alimentari o un problema coesistente, la sua autostima è ulteriormente diminuita dal suo disturbo alimentare. Potrebbe anche essere una persona di successo in altre sfere della sua vita, ma finché non cambia il suo approccio al cibo e al suo corpo, la bassa autostima è destinata a rimanere.

Il tuo partner potrebbe evitare il sesso e l’intimità a causa della vergogna e della bassa autostima dovuta alla percezione del suo fisico distorta, e in effetti, il disturbo potrebbe essere un modo per affrontare un abuso sessuale passato. Potrebbe anche essere particolarmente attivo nella sfera sessuale, usando il sesso come un modo per intorpidire la vergogna e i cattivi sentimenti. Anche gli squilibri ormonali e l’insufficienza calorica possono diminuire il desiderio sessuale.

Per quanto possa sembrare illogico, il suo disordine alimentare non riguarda, alla fin fine, il suo peso. Anche se raggiunge uno dei suoi obiettivi di peso, non sarà soddisfatto se l’obiettivo viene raggiunto. A prescindere dal suo peso o dalla taglia della vita, non sarà mai adeguato ai propri occhi.

Anche se non puoi “aggiustare” il tuo partner, esistono modi in cui puoi essere presente per lui e, auspicabilmente, indirizzarlo verso il recupero.

Come Puoi Aiutare il Tuo/la tua Partner

Se il tuo partner soffre di un disturbo alimentare, è comprensibile che tu ti senta impotente o travolto, ma ci sono alcune cose che puoi fare per aiutare il tuo partner e per prenderti cura di te stesso.

  • Informati. Impara tutto quello che puoi sul disturbo alimentare del tuo partner ed elimina tutte le idee sbagliate che hai su di esso. Questo ti aiuterà a comprendere meglio con cosa sta lottando il tuo partner e come potresti aiutarlo o ferirlo con le tue risposte al suo comportamento.
  • Fai attenzione alle parole che usi. Magari pensi che i tuoi commenti sulle sue abitudini alimentari o sul suo peso non siano dannosi, ma la realtà è che il tuo partner pensa costantemente a queste cose e qualcosa che dici potrebbe essere un fattore scatenante. Mentre ti informi sul disturbo, informati su quali parole sono utili e quali no.
  • Supporta il tuo partner. È facile diventare iperprotettivi o educativi, o chiusi e silenziosi, se il proprio partner soffre di un disturbo alimentare. Potresti ritrovarti a mettere in discussione ogni decisione alimentare che prende, o al contrario, evitare del tutto di parlarne per paura di dire la cosa “sbagliata”. Piuttosto, prova a parlare al tuo partner in modo non giudicante se senti che sta soffrendo. Vedi se riesci a convincerlo ad aprirsi e ad essere onesto con te. I disturbi alimentari si sviluppano nell’oscurità, quindi prova ad aiutare il tuo partner a portarli alla luce.
  • Cerca supporto. Molto probabilmente potresti trovare beneficio da un gruppo di supporto, o anche da una terapia individuale o di coppia con un esperto di disturbi alimentari. Questi ambienti forniscono un luogo sicuro per te e il tuo partner per parlare delle vostre difficoltà e trovare nuovi modi per affrontare i sentimenti e per sostenere il tuo partner.

C’è speranza per il tuo partner e per la tua relazione, a prescindere da quanto le cose possano sembrare disperate. Puoi giocare un ruolo cruciale nel processo di recupero del tuo partner, e potresti anche scoprire che percorrere insieme il sentiero del recupero rafforza effettivamente la vostra relazione.